Fanno ora parte di un’importante collezione eugubina tre splendidi piatti di Aldo Ajò (Gubbio, 1901−1982) messi all’incanto, il 23 aprile 2021, dalla Casa d’Aste Cambi di Genova. Due di essi sono stati eseguiti presso la Società Ceramica Umbra “Paolo Rubboli” di Gualdo Tadino, della quale Ajò fu direttore artistico durante la seconda metà degli anni venti del Novecento; il terzo è invece opera autonoma del grande ceramista eugubino, realizzata con tutta probabilità nel periodo compreso tra il 1925 e il 1935 circa.
Ne dà notizia l’associazione “Maggio Eugubino” in una nota a firma dello storico ed esperto d’arte Ettore Sannipoli.
Aldo Ajò, Società Ceramica Umbra “Paolo Rubboli” di Gualdo Tadino, piatto con due stambecchi o due antilopi e un albero (Fig. 1), 1925−1930 ca., maiolica dipinta in policromia, diam. cm 41,5. Siglato sul verso “SCV (entro triangolo) / RVBBOLI” e firmato “A. Ajò” (con le due A congiunte assieme). Sigla e firma risultano incise sullo smalto.
“Credo che non sia affatto imprudente affermare – scrive Sannipoli – che i risultati più innovativi e qualitativamente elevati − a prescindere dall’applicazione della tecnica del lustro − raggiunti dalla Società Ceramica Umbra di Gualdo Tadino, furono proprio quelli basati sull’operatività diretta o, comunque, sulle felici intuizioni di Aldo Ajò. Sono riemerse via via numerose testimonianze atte a dimostrare come le indiscutibili doti ideative ed esecutive del giovane eugubino siano state da lui messe a profitto perlomeno in due modi diversi durante l’avvincente esperienza gualdese.Una prima via è quella esemplificabile tramite opere in cui l’eugubino evidenzia tutte le sue capacità di rinnovare la tradizione, nella fattispecie quella antico−moderna rappresentata da artisti attivi fra il tardogotico e il rinascimento, come l’Angelico o i senesi sul tipo di Sano di Pietro; e ciò alla luce di un revival storicistico che, dall’iniziale propensione neorinascimentale, stava oramai trascorrendo verso recuperi più schiettamente tardogotici o pseudo−rinascimentali, anche per soddisfare l’esigenza di una flessuosa modernizzazione (in chiave Art Déco) dei modelli iconografici di riferimento. L’altra via è quella schiettamente innovativa, contraddistinta dalla preziosità delle scelte ornamentali e il più delle volte dalla profusione dei lustri, nonché da soggetti che (pur con reminiscenze Liberty) si allineano con lo Stile 1925 piuttosto che con i predominanti motivi neorinascimentali, dettati − questi ultimi − da aspettative basate su una rivisitazione, sempre più sterile e retorica, della tradizione locale”.
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