La Regione dell’Umbria, con la nuova maggioranza di centrodestra, è pronta a rivedere entro l’anno il Piano dei rifiuti con una commissione di esperti per per valutare se e come bruciare gli scarti dei rifiuti nelle cementerie. Per ora è un’ipotesi sulla quale sta lavorando la Regione – riferisce un quotidiano regionale – per chiudere il ciclo della gestione dei rifiuti in Umbria. Il termovalorizzatore non risponde a criteri di economicità e fabbisogno, dunque non è possibile realizzare un terzo inceneritore oltre ai due già attivi a Terni. Il progetto è circondato da favorevoli ma anche voci contrarie con numerosi i nodi da sciogliere.
Nei documenti tecnici della Regione è ipotizzato l’uso dei cementifici di Barbetti e Colacem per smaltire producendo energia il combustibile solido secondario. Un’opzione prevista dall’ultimo aggiornamento del piano del 2015 e rimasta inapplicata. Da Palazzo Donini hanno previsto di nominare una commissione di esperti per rivedere il documento analizzando costi e benefici.
“Su questo fronte veniamo da anni di inerzia – ha detto l’assessore regionale all’Ambiente, il gualdese Roberto Morroni – questo esecutivo si impegna a portare all’attenzione dell’Assemblea Legislativa entro il 2020 l’analisi di un nuovo Piano regionale dei rifiuti per proiettare l’Umbria su un piano di modernità e di piena funzionalità del sistema di gestione dei rifiuti”.
I criteri previsti sono tre: migliorare l’impatto ambientale, incidere meno sulla salute pubblica e ottimizzare la gestione economica, con un parametro da rispettare poiché entro il 2030 secondo la norma europea non si può conferire in discarica più del 10 per cento dei rifiuti raccolti. L’Umbria oggi è intorno al 40 per cento. Le discariche – inquinanti come riferisce ogni anno Arpa – sono già state ampliate e si preannuncia un ulteriore intervento nel biennio. Il problema irrisolto è la chiusura del ciclo, in assenza del termovalorizzatore nella provincia di Perugia. Questo il nodo da sciogliere della gestione in Umbria, anche secondo la relazione della commissione bicamerale d’inchiesta sugli ecoreati.
La strada alternativa è la produzione di Css, il combustibile solido secondario frutto della differenziazione dei rifiuti secchi. A oggi, in base ai piani reginali, deve essere classificato – ci sono 125 tipologie esistenti e solo una parte è ritenuta calorifera tanto da potersi avviare a recupero – e collocato sul mercato: questo è quanto ha stabilito la Regione due anni fa. Ma così non c’è alcun ricavo per gli impianti di trattamento bensì dei costi, dai 60 ai 150 euro a tonnellata.
Nell’aggiornamento del Piano rifiuti della Regione del 2015 sono indicati come “possibili impianti di trattamento le cementerie di Gubbio”, insieme alle centrali Enel di Pietrafitta e Bastardo per le quali nel frattempo sono emersi nuovi progetti di riqualificazione. Il Comune eugubino si è sempre opposto all’ipotesi anche se adesso la maggioranza di Stirati ne parla, con una parte che si dice favorevole e un dibattito acceso soprattutto nella lista civica Liberi e Democratici con il fronte contrario guidato dal vicesindaco con delega all’Ambiente, Alessia Tasso. Gli impianti Barbetti e Colacem già bruciano il “pet coke”, combustibile che proviene dalla lavorazione del petrolio. L’opzione delle cementerie era stata messa nero su bianco dal documento di sintesi preliminare al Piano d’ambito presentato da Auri nell’estate 2018.
La chiusura del ciclo nei due impianti eugubini era indicata nella cartina impiantistica del futuro vidimata dall’autorità che raccoglie i 92 Comuni umbri, nonostante il no del Comune di Gubbio. Ma la chiusura del ciclo è ritenuta necessaria e i tempi per comprenderne la fattibilità e decidere il percorso da compiere vengono indicati come stretti.
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