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Pontificale di Sant’Ubaldo, il vescovo Paolucci Bedini invita a tenere accese le fiaccole fino a lunedì 1 giugno

Si sta celebrando in cattedrale il solenne pontificale nel giorno di Sant’Ubaldo salito alla Casa del Padre il 16 maggio 1160. Il rito è presieduto dal vescovo della Diocesi di Gubbio, Luciano Paolucci Bedini, che nell’omelia ha invitato gli eugubini a prolungare l’accensione delle fiaccole alle finestre, ogni sera, fino al lunedì dopo Pentecoste (1 giugno), giorno liturgico della morte di Ubaldo. Di seguito l’omelia delnL Pontificale.

OMELIA. Ottocentosessant’anni fa, come oggi, il vescovo Ubaldo – ha detto il sessantesimo successore del patrono – finiva la sua corsa tra noi ed entrava Beato nel cielo di cui la sua vita ormai era divenuta una luminosa trasparenza. Il popolo eugubino, che lo aveva vegliato per il lungo tempo della dura malattia, ora piangente ne cantava le lodi e testimoniava la grandezza della fede. Il concittadino esemplare, fedele difensore dell’integrità morale e materiale della sua città; il Pastore premuroso, guida integerrima e indefettibile della Chiesa e dei suoi fratelli; il Padre amorevole, che ha lottato continuamente per la riconciliazione del suo popolo con le sole armi della penitenza e del perdono; il vescovo ormai da tutti ritenuto santo entra per sempre nello splendore della vita beata e nella gioia del suo Signore. E anno dopo anno, noi suoi figli devoti, ne celebriamo con allegra solennità la cara memoria in questo giorno, tutti uniti dalla fede sincera, dal desiderio intenso di rendere grazie a Dio di una tale grazia e di poter attingere ancora, per ogni vera necessità, alla sua paterna intercessione. Questa cattedrale vuota è ancora più grande quest’anno. C’è posto per tutti e tutti ci siamo. Ecco allora il mio più vivo ed intenso abbraccio a tutti voi, fedeli e cittadini, che con me onorate oggi sant’Ubaldo. Ma, come non ricordare qui gli amici delle carissime città gemellate di Thann, e di Jessup, anch’esse private della festa. Come non pensare a tutti gli eugubini sparsi nel mondo, che da giorni hanno gli occhi puntati e il cuore rivolto a queste nostre antiche mura e alla Basilica in cima all’Ingino. Come non fare memoria oggi di tutte le mamme e i babbi, le nonne e i nonni che la festa celebrano tra gli stradoni del cielo, e lo sguardo paterno di Sant’Ubaldo contemplano in eterno. Quando Ubaldo muore, ormai stremato dalle sofferenze della malattia, gli eugubini, e i tanti ormai convertiti dalla sua vita santa, gli rendono un omaggio plateale. Le fonti raccontano di un abbraccio di gente lungo e continuo che dura giorni. Da tutta la diocesi vogliono stringersi attorno al loro vescovo santo. Altrettanti vengono dalle città vicine. Tanti provano a toccarlo. Tutti desiderano dirgli grazie. Molti gli chiedono un’ultima grazia per le loro tribolazioni. La folla è tale che per quattro giorni non si riusciranno a celebrarne le esequie. Rimarrà custodito in cattedrale, vestito degli abiti pontificali, esposto all’omaggio ininterrotto del suo popolo. E da quel trono di grazia il santo continuerà a guarire le infermità fisiche e spirituali dei suoi figli. Una luce che non si spegne, una lampada che continua ad ardere, perché tutti possano ancora rincuorarsi alla sua fiamma. La luce della santità del vescovo Ubaldo è il tesoro prezioso che il popolo eugubino custodisce gelosamente nella Basilica sul monte, nella sua storia e nel proprio cuore. Di questa enorme ricchezza è erede responsabile e benedetto. Ogni figlio di questa terra, e ogni membro di questa comunità, sa bene che può sempre lasciare che la vita di Sant’Ubaldo illumini la propria, quella della sua famiglia e della sua città. In ogni momento della storia e ad ogni passo del nostro cammino non mancherà la protezione del Patrono e la chiara indicazione del suo insegnamento. Dopo la sua sepoltura le cronache narrano che ancora per un intero anno, tutti i giorni, dalla città, dai borghi e dal contado, continuò il pellegrinaggio devoto alle spoglie mortali del santo vescovo. Quasi un giubileo spontaneo, ‘tutto pieno di gioia dilagante’ ricorda Tebaldo, in cui gli eugubini non smisero di rendere il giusto onore alla grandezza di quest’uomo di Dio. E, segno eloquente di così grande fede furono i ceri e lampade accese, in ogni casa e in ogni via, tanto che per mesi la città di notte era rischiarata dalla loro luce. Perché non ripetere questo gesto? Perché non porre, in questo anno eccezionale, un atto straordinario di omaggio al nostro patrono? Invito tutti a prolungare l’accensione delle fiaccole alle nostre finestre, ogni sera, fino al lunedì dopo Pentecoste, giorno liturgico della morte di Ubaldo. Un segno della nostra fede, che parte dalle nostre case, coinvolge le nostre famiglie, e ci aiuta ad alzare lo sguardo in alto, al cielo, da dove il buon Dio, per l’intercessione affettuosa di sant’Ubaldo, continua a benedirci e ad indicarci la via di una vita buona, che splenda davanti agli uomini, perché vedendone la luce rendano gloria a Lui che tutti ama e protegge. Quell’anno dopo la morte di Ubaldo però, come un vero Giubileo, è ricordato anche per essere stato un tempo di grande rinnovamento della fede. Dice ancora Tebaldo: ‘La generosità corale dei buoni cittadini lo rese gradevole. La concordia e la pace lo resero dolce e amabile’. Perché non ripeterci anche in questo, dimostrando davvero quanto siamo legati e debitori della vicenda del nostro vescovo santo. Come sarebbe bello sapere che quest’anno sarà ricordato per una nuova fioritura della fede degli eugubini, che con umiltà e letizia si rimettono in cammino dietro l’esempio e la parola del loro Patrono, così da riscoprire la grandezza dell’amore di Dio e la bellezza di dirci suoi figli e discepoli. Basterebbe ripartire dalle pagine della vita di sant’Ubaldo, che trasudano di parola di Dio, di sentimenti ed azioni ispirate alla fede, che generarono frutti di pace e di carità tra il popolo. ‘In quell’anno, dice ancora il racconto di Tebaldo, venne ricostruita la concordia della pace tra la città e il suo comitatus, e finì la guerra che era durata a lungo tra loro’. Allora perché non decidere con forza, in cuor nostro, e poi anche concretamente nelle occasioni che si presenteranno, che la via della divisione, della contrapposizione, della violenza e dell’esclusione, della denigrazione e dell’insulto, non è stata mai e non sarà più, la scelta delle nostre discussioni e dei nostri confronti. Come non riconoscere che solo la concordia e la pace custodiscono una vita lieta e condivisibile, e animano la vita sociale e la responsabilità per il bene di tutti. Possiamo dimenticarci che questo è il cuore dell’insegnamento del vescovo Ubaldo, e l’esempio di tutta la sua vita? Dice ancora Tebaldo di quell’anno straordinario: ‘Anche il sostegno ai poveri continuò a verificarsi in forme così abbondanti che, al contrario di quanto era sempre accaduto, i poveri non avevano bisogno di elemosinare e di chiedere con insistenza, ma venivano invece pregati perché si degnassero di accettare’. La carità vera non è il gesto distratto e tranquillizzante di chi ha di più e dà del superfluo ha chi non ha, ma è condivisione fraterna di quello che tutti abbiamo ricevuto in dono per vivere. Perché non impegnarci insieme, a tutti i livelli, unendo le forze e le risorse, a soccorrere tutti coloro che, fratelli e sorelle in questa terra che tutti abitiamo, ora si trovano in difficoltà serie, e a causa di questa brutta crisi hanno bisogno di un aiuto concreto, per mantenere le loro case, nutrire le proprie famiglie, salvare o riavviare il loro lavoro. Non è proprio la carità la luce più bella e consolante che il vangelo accende tra noi? Non è il frutto più maturo che verifica l’autenticità della nostra fede? Ecco le consegne che la festa del nostro santo Patrono ci affida quest’anno: la fede, la pace e la carità. Per viverle, proprio a lui, con immutata fiducia, chiediamo luce e forza”.