di Luigi Girlanda
Il Natale non è il ricordo di un fatto storico passato. Come insegna la vera liturgia la nascita del Salvatore è sempre attuale per la redenzione che offre agli uomini di tutti i tempi. La venuta di Gesù, duemila anni fa, come Redentore, annuncia già il suo ritorno, alla fine dei tempi, come giudice e trionfatore. Forse mai come nel nostro presente è fondamentale puntare lo sguardo sulla prospettiva finale evocata dalla stessa nascita di Gesù.
Quello di quest’anno è infatti il primo Natale senza papa Benedetto XVI. La Chiesa cattolica ha perso con lui l’ultimo grande riferimento spirituale e culturale, anche se – come molti ormai tendono giustamente a ricordare – Joseph Ratzinger, al pari degli ultimi suoi predecessori, era già un papa della crisi dottrinale seguita al Concilio Vaticano II. Ma un conto è la Chiesa in crisi e un altro il drammatico processo dissolutorio di una chiesa priva di guida autentica, processo che, in quest’ultimo anno senza papa Benedetto XVI, ha subito un’accelerazione senza precedenti.
Anche in una realtà piccola come Gubbio sembra possibile scorgere il dramma di una chiesa che tenta di sopravvivere occupandosi più di bilanci e strutture che non della difesa della vera fede, più di iniziative sociali che strappano l’applauso effimero del mondo che non della salvezza delle anime, più della dimensione orizzontale e mondana che non di quella verticale e divina. In molti ormai c’è la consapevolezza che con la morte dell’ultimo pontefice sia in un qualche modo venuto a mancare quello che nella Bibbia è indicato con il termine “katechon” (colui che trattiene).
L’espressione compare per la prima volta in uno dei più antichi scritti del Nuovo Testamento, precisamente nella Seconda lettera ai Tessalonicesi di san Paolo. Siamo ad appena venti anni dalla morte di Gesù e nel suo secondo viaggio missionario l’Apostolo, mentre si trova a Corinto, riceve notizie dalla comunità di Tessalonica, da lui stesso fondata qualche tempo prima. Gli viene riferito che molti credenti, ritenendo imminente il ritorno finale di Gesù Cristo, hanno smesso di occuparsi delle cose terrene, a cominciare dal lavoro, perché tutti intenti nell’attesa dell’incombente fine del mondo e giudizio universale. San Paolo decide allora di scrivere ai Tessalonicesi (lo farà per due volte nel giro di pochi mesi) per chiarire bene qual è la dottrina cattolica autentica sugli ultimi tempi e quale deve essere il giusto atteggiamento dei credenti nell’attesa del ritorno finale di Gesù Cristo.
È impressionante rileggere oggi quelle pagine – ripetiamo, le più antiche del Nuovo Testamento – soprattutto pensando che, a pochissimo tempo dalla morte di Gesù, la fede cattolica è già perfettamente definita nei suoi aspetti fondamentali e già diffusa capillarmente nelle principali città del mondo ellenistico. L’Apostolo tratteggia, con finezza e lucidità impareggiabili, tutta la dinamica degli eventi che precederanno il ritorno glorioso di Gesù Cristo alla fine dei tempi. Spiega ai Tessalonicesi che la loro smania e il loro smettere di occuparsi delle cose terrene sono un inganno. Prima della venuta di Cristo devono infatti verificarsi alcuni eventi ben definiti. Vale la pena leggere l’intero passo in questione.
“Ora vi preghiamo, fratelli, riguardo alla venuta del Signore nostro Gesù Cristo e alla nostra riunione con lui, di non lasciarvi così facilmente confondere e turbare (…). Nessuno vi inganni in alcun modo! Prima infatti dovrà avvenire l’apostasia e dovrà esser rivelato l’uomo iniquo, il figlio della perdizione, colui che si contrappone e s’innalza sopra ogni essere che viene detto Dio o è oggetto di culto, fino a sedere nel tempio di Dio, additando se stesso come Dio. (…) Il mistero dell’iniquità è già in atto, ma è necessario che sia tolto di mezzo chi finora lo trattiene (il katechon, n.d.r.). Solo allora sarà rivelato l’empio e il Signore Gesù lo distruggerà con il soffio della sua bocca e lo annienterà all’apparire della sua venuta” (2 Tes. 2,1-12).
Forse mai come in questo Natale 2023, con le ultime cosiddette “aperture” degli alti vertici del Vaticano – ma che sono in realtà veri e propri tradimenti della dottrina autentica della Chiesa di sempre – possiamo prendere atto che l’apostasia indicata da san Paolo come uno degli eventi precursori della fine dei tempi è apertamente compiuta. L’apostasia, per chi non è esperto di teologia, è il rinnegamento della fede. Attenzione: non la mancanza di fede, ma il rigettare la fede professata. Negli ultimi decenni abbiamo assistito non solo alla defezione dalla fede di intere nazioni un tempo cattolicissime, ma addirittura a intere conferenze episcopali che hanno pubblicamente manifestato il loro dissenso su questioni fondamentali della dottrina di sempre.
Dalla grande apostasia, sempre seguendo san Paolo, nascerà l’uomo iniquo, quello che la tradizione ha sempre indicato col nome di anticristo, colui che si contrappone a Dio e che giungerà ad occupare gli alti vertici della Chiesa (nelle parole dell’Apostolo: “fino a sedere nel tempio di Dio additando se stesso come Dio”). Il discorso è non solo profetico, ma logico: solo in una Chiesa che ha apostatato dalla fede l’anticristo può imperversare senza incontrare ostacoli. Una Chiesa ancorata alla dottrina di sempre mai potrebbe accettare i cambiamenti dottrinali imposti dall’uomo iniquo che siederà nel tempio di Dio.
Queste non sono farneticazioni di presunti veggenti, ma sono le lettere di san Paolo contenute nella Bibbia. Sono questi che viviamo i tempi che vedranno accadere le cose annunciate e scritte dall’Apostolo? Nessuno può dirlo, ovviamente. Certo è che in nessun tempo come nel nostro il termine “apostasia” si è potuto applicare in modo più legittimo a quello che vediamo accadere quando, con documenti ufficiali del massimo organismo dottrinale della Chiesa, vengono smentiti senza colpo ferire il catechismo ufficiale e i documenti magisteriali dei pontefici del passato. Tempi in cui il documento di papa Benedetto XVI che permetteva a tutti di celebrare la messa cattolica come la Chiesa ha fatto per duemila anni trovò un’opposizione praticamente unanime da parte dell’episcopato mondiale, mentre gli attuali documenti che smentiscono la dottrina cattolica di sempre ricevono consensi e applausi e nessuna minima critica.
Da questa apostasia conclamata nascerà l’anticristo, come ci insegna san Paolo. Siamo già nei tempi del suo precursore? Non possiamo saperlo. Certo fanno riflettere le parole di san Pio X che, nella sua prima enciclica del 1903, dopo aver elencato i pericoli per la fede che già si profilavano all’orizzonte, si spinse a scrivere: “Chi tutto questo considera, bene ha ragione di temere (…) che già sia nel mondo il figlio di perdizione di cui parla l’Apostolo” (E supremi, n. 5).
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