di Simone Zaccagni
Dopo l’esame di maturità, era d’obbligo fare un viaggio da soli, per dimostrare che quella maturità l’avevamo davvero. E mentre le mete preferite dei nostri coetanei erano le Baleari, la riviera romagnola o la Costa del Sol, io riuscii a convincere il mio manipolo di amici a un viaggio diverso: la Tunisia. Lo confesso, non sono mai stato un grande amante delle discoteche e ho sempre preferito un oceano infinito o meglio ancora il deserto (di questo parlerò un giorno magari con uno psicologo, ma adesso non divaghiamo). Cosa c’è di meglio che la Tunisia allora, con il Sahara alle porte? E fu così che fra giorni di mare a Monastir e una gita ad Hammamet a cercare di incontrare Craxi, trascinai i miei sventurati compagni di viaggio nella famigerata carovanata in mezzo al Sahara, con soste nelle varie oasi. Una di queste era vicina ad una città che risuonava nella mia memoria musicale: Tozeur. Con uno scalcinato taxi, abbandonando la compagnia, volli visitare quel luogo cantato da Battiato. O meglio, mi diressi direttamente alla stazione, perché lui parlava dei treni di Tozeur. Eccomi qui, 45 gradi all’ombra, a luglio in una desolata stazione in mezzo al Sahara ad attendere dei treni solo per una canzone che mi risuonava in testa. Il primo treno passò dopo 3 ore di noiosissima e torrida attesa (non c’erano smartphone, tutto il leggibile era in arabo). Visto che la canzone parlava di treni, ne attesi altre due per poter ottenere il plurale, ma si stava facendo buio e nel deserto la notte non è consigliabile passarla fuori, a maggior ragione se si è in una stazione. Presi un taxi e raggiunsi i miei amici, che nel frattempo avevano trascorso il pomeriggio a buttarsi dalle dune.
Non
sapevo che quel pomeriggio era iniziato un mio viaggio interiore e
non solo. Due giorni dopo eravamo diretti a Tunisi, al museo del
Bardo (bellissimi mosaici romani, lo consiglio) quando, vidi una
distesa di alberghi. Tutti pieni. Mi venne in mente un’altra canzone,
“L’Era del cinghiale bianco” che inizia proprio con “Pieni gli
alberghi a Tunisi / per le vacanze estive”. Cavolo, pensai, ma che
succede? Succede che se per un punto passano infinite rette, per due
punti ne passa una sola. Quella linea retta che partiva da Tozeur e
finiva a Tunisi era ormai un lato del poligono dei miei futuri
viaggi: da quel giorno decisi che avrei reso reali le canzoni di uno
dei miei artisti (musicista è riduttivo) preferiti: Franco Battiato.
Subito il giorno dopo andai a vedere le rovine di Cartagine (Delenda
Carthago). Da allora, viaggio dopo viaggio, sono stato al “Caffè
de la Paix”, di Parigi, sulla “Prospettiva Nevskij” a San
Pietroburgo e “Alexander Platz” a Berlino est. Ho sorvolato “i
campi del Tennessee” (citati ne “La Cura”) in un volo da
Cincinnati a Los Angeles, “per le strade di Pechino” (citate in
“Cerco un centro di gravità permanente”) e nel ‘Giappone delle
geishe’ (“Sentimiento nuevo”). Di lunedì sono andato a Lisbona
(“Segunda feira”), ho visto sia i “dervisci” rotanti che
l’Irlanda del Nord (“Voglio vederti danzare”), toccato la tappa
“Venezia-Istanbul”, il “Tibet”, e cosa più stramba, prima a
Poggibonsi (con radiocronaca del Gubbio annessa) e subito dopo a
Gerusalemme (associate nella canzone “Poggibonsi”). Ho visto gli
studenti di Damasco vestiti tutti uguali, un salto a Giza (carine le
Piramidi d’Egitto), uno in Myanmar (la vita cinica ed interessante di
Landolfi opposto ma vicino a un monaco birmano). Ma non è che per
forza bisognava fare viaggi strani e lunghi: se è vero che sono
andato a Shangai a vedere le biciclette di quella città cantate in
“Radio Varsavia”, ho visto, sempre dietro alla radiocronaca del
Gubbio, pure le biciclette di Forlì (cantata da Alice, ma scritta da
Battiato); oppure basta andare nell’hinterland bolognese (Hai mai
veduto a Borgo Panigale un’aurora simile alla boreale?) L’ultimo
viaggio l’ho fatto in Kirgizistan, in quelle “Strade dell’est”
dove “Spinto dai Turchi e dagli Iracheni / qui fece campo Mustafà
Mullah Barzani”. In realtà, la Pasqua precedente, di ritorno da
Venezia, avevo ottenuto il permesso di una leggera deviazione per
fare “Scalo a Grado, la domenica di Pasqua”. Con buona pace della
mia compagna, che ormai bonariamente asseconda questa mia mania, una
delle tante fissazioni del mio carattere ossessivo compulsivo.
Ora, avrete capito che sono un grande appassionato di Battiato: ho visto tantissimi suoi concerti, nei quali lui è sempre stato molto più trascinante e travolgente di colleghi che all’apparenza sembrano più rock: vi sembrerà strano, ma tanto entusiasmo in platea non l’ho visto nemmeno per Vasco, gli U2, gli Oasis o i Pink Floyd. Quel signore apparentemente ascetico, quasi asettico, sapeva tirare fuori da tutti la parte più profonda: il famoso animale che ognuno si porta dentro. Magari rimanendo disteso su un divano, o seduto su un tappeto, mentre di fronte a lui risuonavano le cavigliere del Kathakali (a proposito sono andato pure lì, in India) e la gente saltava, urlava, ondeggiava, roteava come dei dervisci.
Ma non finisce qui. Un giorno, la trasmissione “Il Ruggito del Coniglio” propone come argomento di raccontare il proprio strano viaggio. Io racconto questa esperienza, ribattezzata con felice intuito dai due conduttori (Marco Presta e Antonello Dose) il “Battiatour”. A seguito di questo intervento, alcune testate italiane, fra cui il Messaggero, mi intervistano per approfondire. Ora, in qualche modo Franco Battiato viene a sapere questa cosa e, tramite un suo amico, riesce a contattarmi prima via Facebook, poi telefonicamente. Mi chiede di questo viaggio, è fra lo stupito, l’incredulo e il divertito. Credo che fosse pure un po’ orgoglioso che un suo fan arrivasse a tanto. Mi spiega che come Salgàri (rigorosamente con l’accento sulla seconda a, ci tiene a sottolineare, da quel giorno ho cambiato pronuncia) molti dei posti che lui ha cantato non li ha mai visti. Stai attento, mi dice, qualcuno potrebbe pure essere pericoloso. Io gli chiedo se magari può realizzare una canzone che parli di una tranquilla spiaggia dei Caraibi, così unirei l’utile al dilettevole. Gli racconto dei vari suoi concerti che ho visto (che banalità, ripensandoci ora). Lo saluto con un tremante “Continuerò a seguirla”. E lui mi dice che forse sarà lui a dover seguire me. Chiudo il telefono e non mi rendo conte se sia successo davvero o se tutto sia stato frutto della mia fantasia.
O se magari era un qualcuno che lo ha imitato e mi ha fatto uno scherzo.
Se così fosse, preferirei non saperlo…
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