Si trova di tutto girando sui social. Sentimenti, battute e goliardate: queste le reazioni dopo l’annullamento della Festa dei Ceri che il 15 maggio non si farà (si vedrà per l’11 settembre: per ora al tavolo ceraiolo non se n’è parlato). Non tutti la pensano allo stesso modo, anche tra gli ex Capodieci tra chi si schiera con la decisione presa e chi invece non riconosce l’autorità – tra il sindaco e il cosiddetto tavolo – di chi ha deciso la sospensione. “Troveremo il modo di onorare il patrono – scrive un ex Capodieci -, se non è la corsa ci inventeremo altro”.
“L’impossibilità di poter vivere la nostra amata festa ci rende tutti un po’ più tristi – scrive Federica Vagnarelli, la moglie di Eric Nicchi il Primo Capitano – ma la grande devozione al santo patrono ci aiuterà a fermarci un attimo a riflettere, a ricordare chi abbiamo perduto e chi sta soffrendo, e ci aiuterà ad attendere con pazienza un anno per tornare a rinascere, abbracciarci e fare festa”.
Un ex Capodieci si lascia andare: “Era giusto così perché sin dal 5 marzo 1192 con la bolla di Papa Celestino III la festa veniva vissuta unitariamente e in allegria, l’esatto contrario di oggi. Nulla per gli eugubini rappresenta più degnamente e spensieratamente la vita che quel giorno di maggio, l’esatto contrario di oggi. Non esiste nessuna festa ridotta o limitata”.
Corrono i pensieri poetici: “Lassù, tra la terra e il cielo, tra i pini del Colle Eletto, dacci appuntamento: giungeremo con i Ceri, dopo aver tessuto le nostre vite nei telai eterni che ebbero a comporre le mantelle gialle, azzurre e nere degli amati Santi. Torneranno tempi migliori, nel cuore come nella vita”.
Impossibile non rattristarsi: “Il dolore è dolore, è soggettivo. c’è chi soffre per un motivo e chi per un altro ma comunque c’è sofferenza. Tra un mese soffrirò, già soffro, e con me soffriranno 32mila persone, anche tutti quelli che ci conoscono”. C’è anche chi apre al futuro (“Quanto più lunga è l’attesa, tanto più grande è il piacere”) e chi comunque qualcosa farà: “Il 15 maggio indosserò, come ogni anno da cinquant’anni a questa parte la mia camicia azzurra, fiero di essere eugubino e matto”.
Si può immaginare come una provocazione un’ardita esternazione: “Per il 15 maggio, senza dire niente a nessuno, propongo di andare a prendere i Ceri di nascosto sulla basilica e poi facciamo quello che viene”. Fino a guardare perfino oltre Oceano alla comunità eugubina americana in Pennsylvania: “Magari a Jessup li fanno uguale. Andiamoci tutti”.
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