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Il compleanno di Papa Benedetto XVI infittisce il mistero sulla sua rinuncia

Papa Benedetto XVI

di LUIGI GIRLANDA

Presidente Associazione Benedetto XVI – Gubbio

Papa Benedetto XVI oggi compie 93 anni. A parte i comprensibili disagi che un uomo di questa venerabile età manifesta, Joseph Ratzinger gode ancora di una salute accettabile e, soprattutto, mantiene una lucidità mentale sorprendente. Lucidità che gli ha permesso, anche negli ultimi mesi, di far sentire la sua voce autorevole e scompigliare i piani di demolizione del celibato sacerdotale portati avanti dai nuovi vertici vaticani. 

Al contrario di quanto si aspettavano i suoi detrattori, papa Benedetto XVI non si è chiuso in un silenzio tombale. Nei momenti opportuni ha coraggiosamente fatto sentire la sua voce, sempre palesemente contraria al “nuovo corso”, costringendo l’establishment vaticano a fare mirabolanti acrobazie per dire che va tutto bene e che esiste una perfetta continuità tra Ratzinger e Bergoglio.

Più passano gli anni e più diventa palese che le drammatiche “dimissioni” di papa Benedetto XVI del febbraio 2013 non erano motivate, come ci si è preoccupati subito di far credere, da problemi legati all’età e alla salute. Sono infatti passati più di sette anni da allora. Un tempo ben più lungo di quello di molti altri pontificati. Giovanni XXIII, per esempio, il pontefice che i nemici di Dio hanno chiamato “il papa buono” (come a dire che gli altri erano tutti cattivi), ha regnato meno di cinque anni, tempo abbastanza lungo da permettergli di indire un concilio ecumenico. 

Benedetto XVI sono più di sette anni che continua a essere papa in condizioni di salute fisica e mentale molto migliori di quelle godute da Giovanni Paolo II negli ultimi anni del suo pontificato. La salute fisica dunque, oggi lo constatiamo oltre ogni ragionevole dubbio, non c’entrava nulla con le sue dimissioni. Ed è certo anche – cosa non da poco – che le cosiddette “dimissioni” del 2013 non erano certo una rinuncia al papato, ma solo, come ha sempre precisato lo stesso Ratzinger, una rinuncia al ministero attivo. Il papato, infatti, è un incarico e non un sacramento. Si diventa papa solo dopo aver accettato tale incarico. Nel conclave, una volta avvenuta canonicamente l’elezione del nuovo pontefice, il cardinale decano, a nome di tutto il collegio degli elettori, chiede il “consenso” all’eletto con le parole: Acceptasne electionem de te canonice factam in Summum Pontifice? (Accetti la tua elezione canonica a Sommo Pontefice?). Solo dopo la risposta affermativa il decano chiede a colui che da quel momento, e solo da quel momento, è diventato papa: come vuoi essere chiamato?

Si diventa “papa” in questo modo, mentre si diventa “vescovo” solo dopo la celebrazione del sacramento dell’ordine, che è quindi incancellabile. Quando un vescovo va in pensione, smette di esercitare il ministero attivo, ma rimane ovviamente vescovo. Per questo si è inventato il termine vescovo emerito, per distinguerlo dal vescovo ordinario che, oltre ad avere ricevuto il sacramento incancellabile esercita anche, di fatto, il ministero a esso legato. 

Il papato, al contrario, essendo un incarico, può anche essere soggetto a rinuncia (come prevede da sempre la legge della Chiesa). Ma un papa che ha rinunciato all’incarico, non è più papa. Benedetto XVI, da fine teologo e studioso, ha invece distinto nella rinuncia il ministero dal munus (l’incarico, l’ufficio) affermando di rinunciare solo al ministero e mantenendo quindi il munus. Non è una distinzione da poco! 

Per capire la sottigliezza possiamo fare un esempio. Immaginiamo un uomo sotto ricatto a cui viene chiesto, pena l’uccisione di suo figlio, di rinunciare a fare il padre e andarsene in un paese lontano. Quell’uomo, per amore del figlio, potrebbe cedere al ricatto e rinunciare a esercitare la paternità attivamente. In questo caso non avrebbe rinunciato a essere padre, ma solo a fare attivamente il padre, pur rimanendo padre.

Il termine “papa” viene dal greco e significa proprio “padre”. Benedetto XVI ha rinunciato all’esercizio attivo del suo essere papa (padre), ma non al papato (paternità). Questa distinzione giuridica tra munus e ministerium non solo è stata da lui espressamente enunciata nell’atto di rinuncia, ma – perché non ci fossero dubbi – ha continuato a manifestarla in tutti i modi possibili. Ratzinger continua a firmarsi e a farsi chiamare “Benedetto XVI”, continua a indossare la veste bianca del papa, non ha tolto dal suo stemma episcopale le chiavi di san Pietro (simbolo del papato), continua a farsi chiamare – perfino da Bergoglio – “sua Santità”, continua a risiedere dentro le mura del Vaticano, ha la carta intestata con scritto “papa emerito”, riceve l’omaggio dei cardinali e molto altro.

Joseph Ratzinger sa bene che non ha senso parlare di papato emerito. Lo sanno bene anche i suoi nemici, che hanno comunque accettato questa dicitura senza senso pur di togliersi Benedetto XVI dalle scatole. Lo sanno bene tutti gli uomini di Chiesa, che però hanno deciso di far finta di niente, anzi di ostracizzare e dileggiare chiunque osi ricordare questi semplici – ma scomodissimi – fatti. C’è da capirli: la posta in gioco è altissima. Perché se è vero quello che da sempre si dice, e cioè che “morto un papa (o dimesso), se ne fa un altro”, è altrettanto vero che “vivo un papa (anche se inattivo) non se ne può – né poteva – fare un altro”.