Le sue prime corsie di un ospedale sono le strade di Valencia che portano i segni dell’alluvione e della disperazione di quanti stanno cercando di rialzarsi dalla furia della pioggia. Sofia Tresoldi ha deciso di dare una mano, è un angelo del fango. L’apprensione ha superato i confini spagnoli con le testimonianze di vicinanza espresse da familiari e amici: “Mille messaggi e le videochiamate. Non mi aspettavo di finire in questa situazione, nessuno può pensare che possa succedere una cosa del genere da un momento all’altro. Si parte per un’esperienza di studio diversa e ci si ritrova a spalare il fango in mezzo a persone disperate”.
La ragazza compirà 23 anni il prossimo 12 dicembre, frequenta il quarto anno alla facoltà di medicina dell’università di Perugia e a settembre è partita per il programma Erasmus in Spagna, dove si fermerà fino alla fine di giugno. La sua è una storia che parte dalla Sardegna dov’è nata, per seguire la famiglia, il papà Emanuele ex calciatore del Gubbio e la mamma Barbara che lavora per una compagnia aerea in Germania, dove i suoi genitori si sono trasferiti con il fratello Nicolò, attaccante dell’Hannover. Sofia invece ha deciso di restare con nonna Mariangiola a Gubbio, dov’è arrivata nell’estate 2004. Mai avrebbe immaginato di vedere malridotta una città così bella, di oltre 800mila abitanti, terza del Paese dopo Madrid e Barcellona, sul golfo che porta il suo nome lungo la costa spagnola centro-orientale.
Lei vive nella parte nord e ha raggiunto la periferia dove sono devastanti i segni dell’alluvione abbattutasi nella notte tra il 29 e 30 ottobre: “Noi studenti stranieri che abitiamo in centro – racconta – abbiamo appreso il giorno dopo ciò che era successo a qualche chilometro, trovando una situazione allucinante. La gente si è ritrovata in mezz’ora due metri d’acqua”.
Morte e distruzione, così Sofia ha raccolto la disperazione: “Tutti hanno perso qualcuno o va in giro con le foto dei propri cari sperando in chi li abbia visti. Io e altri abbiamo camminato un’ora e mezza per arrivare in una delle zone devastate. Non c’è un’organizzazione ufficiale, chi arriva fa quello che può e c’è bisogno di persone ovunque”.
Si sono mobilitate le università, pubbliche e private, per la raccolta di alimenti, beni di prima necessità e medicine, organizzare spedizioni di volontari, e accogliere gli sfollati nelle strutture e nei campus: “I campus ora suono vuoti e le strutture sono state adibite a punti di raccolta». L’emergenza va oltre l’ordinario della quotidianità. E anche dell’Erasmus”.
Lascia una Risposta