Nella domenica del ritorno dei Ceri in città, don Mirko Orsini, vicario generale della diocesi di Gubbio e cappellano dei Ceri, nell’omelia ha ricordato i giorni difficili della pandemia richiamando l’Organizzazione mondiale della sanità che ha annunciato la fine dell’emergenza sanitaria per il covid.
“Questo tempo ci dava e ci ha dato – ha detto don Mirko Orsini – la possibilità di cambiare, ci ha messo di fronte a un bivio che è quello di comprendere che la vita e la storia vanno avanti, oppure la tentazione di tornare indietro nel 2019 come se nulla fosse accaduto. Ci ha dato la possibilità di rileggere la Festa dei Ceri per vedere dove l’avevamo portata e purificarla”.
Il cappellano ha voluto sottolineare i valori più autentici della festa, dall’amicizia alla semplicità delle relazioni e il gusto di sapersi divertire senza eccedere.
“La festa manca di un filo conduttore – ha osservato -, se non va verso Sant’Ubaldo non va da nessuna parte. Ci siamo costruiti l’industria dell’evasione e il primo di questi prodotti è stata la trasformazione della festa nelle sempre più diffuse manifestazioni collaterali che diventano le più attese. La festa vera non è più centrale, infatti quando termina la baldoria si aspetta la baldoria del giorno dopo. L’evasione finisce davanti a tutto. Non ha più senso che si arrivi alla festa dei Ceri molto più stanchi che carichi”.
Davanti ai ceraioli in basilica e nel chiostro, don Mirko ha evidenziato che “la festa è la corsa della vita, fatta di discese e salite, di cadute, pendute e risalite. Ha un inizio ed è una meta verso Sant’Ubaldo. Chi corre deve guardare sempre avanti e non i piedi o indietro. Deve portare dentro di sé l’ideale, non avere solo lo sguardo verso Sant’Ubaldo nell’urna ma nel cuore. Noi corriamo verso la basilica ma dovremmo imparare a correre per l’incontro con il patrono. E lui ci incontrerà. Se non c’è questo, si corre verso un luogo che rischia di essere vuoto. Si corre verso il monte per l’eternità e per trovare la via. Gesù e Ubaldo sono la via”.
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